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Esteso ed articolato, il territorio attorno al capoluogo di regione presenta in realtà notevoli differenze interne, dalla piccola piana costiera –il cosiddetto Miglio d’oro con i suoi undici comuni– alle isole che ne costellano il mare d’intorno –il cosiddetto Arcipelago campano formato da Capri, Ischia e Procida- fino ai dodici comuni dell’area vesuviana propriamente detta che, con l’insieme delle loro produzioni, offrono ampie conferme alla denominazione della Campania come terra particolarmente fertile, grazie anche ai sedimenti vulcanici del terreno, alle caratteristiche temperate di un clima allo stesso tempo soleggiato e ventilato e all’ottimo drenaggio delle acque. Da qui l’originalità e la varietà dei sapori che ha dato vita a numerose produzioni tipiche di grande interesse, dall’albicocca vesuviana alle ciliegie del Monte, dal pomodorino del Piennolo alla lavorazione con trafilatura di bronzo della pasta fino ai diversi vitigni e liquori, tratti il più delle volte dagli splendidi agrumeti della costiera: una produzione estremamente variegata che caratterizza tutta l’area e che si ritrova, con l’aggiunta anche di una significativa attività di allevamento bufalino, anche a Giugliano in Campania, il terzo comune per popolazione dell’intera regione, di particolare interesse anche per quanto riguarda le musiche di tradizione orale.

 

raffaele di mauro

Foto di Raffaele Di Mauro

 

Nel più popoloso, con i suoi 122.000 abitanti, dei comuni italiani che non sono capoluoghi di provincia o di regione, troviamo un particolare stile areale di canto e ballo sul tamburo, caratterizzato da un ciclo vocale tripartito (che prevede l’alternanza di canto a distesa, quindi a ritmo e poi ancora a distesa prima della rotella finale che chiude il ciclo) in corrispondenza ai tre modelli melodici suonati dal sisco, strumento che costituisce la peculiarità dello stile “giuglianese” essendo del tutto assente in altre aree. Si tratta di un flauto a canna singola che i giuglianesi stessi costruiscono usando canne di lago e di cui sono assai “gelosi”. Il sisco - accompagnato generalmente da tammorre, castagnette e talvolta tricchebballacche- sembra spesso “guidare” l’esecuzione di questo specifico stile areale di canto sul tamburo che, dal punto di vista ritmico e coreutico, presenta forti elementi di aggressività, con un carattere quasi “guerresco” ed è, infatti, molto spesso danzato da coppie di maschi.

Ascolta Danze con flauto e tamburo nelle registrazioni di Roberto De Simone

I momenti principali in cui poter ascoltare e vedere la tammurriata giuglianese sono tre: i primi due di origine devozionale, legati cioè al pellegrinaggio ai santuari di due Madonne cui essi sono particolarmente devoti, vale a dire la Madonna dell’Arco a Sant’Anastasia (NA) dove si recano all’alba del Lunedì in Albis e la Madonna di Briano a Villa di Briano (CE)  dove vanno nel primo pomeriggio della Domenica in Albis.

Guarda le riprese audiovisive di Paola Cantelmo e Pasquale Corrado sul pellegrinaggio alla Madonna di Briano

 

e ascolta i canti giuglianesi per la Madonna dell’Arco nelle registrazioni in studio di Roberto De Simone

 

Il terzo appuntamento, invece, è di natura conviviale e riguarda il Martedì in Albis, per loro giorno di “pasquetta”, in cui le varie paranze giuglianesi si recano nei dintorni del Lago Patria avendo ciascuna un proprio posto rituale dove poter suonare, ballare, cantare, ma anche mangiare e bere in compagnia e all’aperto.

Guarda le tammurriate di Lago Patria nelle riprese audiovisive di Paola Cantelmo e Pasquale Corrado

Oltre al canto sul tamburo, a Giugliano sono presenti molti dei repertori diffusi un po’ in tutta l’area napoletana (ad eccezione forse dei canti a figliola): fronne, voci di questua (rivolte in questo caso prevalentemente alla Madonna dell’Arco e alla Madonna di Briano), canti “alla carrettiera” o “alla cilentana”, voci di venditori e anche delle voci caratteristiche caratterizzate dallo stereotipo verbale finale “’a muntagna fredda”. Tutti questi repertori vocali a distesa e senza accompagnamento strumentale, spesso fanno da preludio e introduzione all’esecuzione dei canti e balli sul tamburo.

Ascolta i canti di carrettiere alla cilentana nelle registrazioni sul campo di Roberto De Simone

A poco più di venti chilometri di Giugliano, ai piedi del vulcano, si trova Somma Vesuviana che, accanto a tutti i repertori dell’area, presenta una spiccata inclinazione per i canti a figliola, eseguiti anche in relazione al rito della perticella.

Anche a Somma tra i repertori tradizionali più diffusi c’è il canto e ballo accompagnato dal tamburo a cornice. Lo stile di canto sul tamburo di area vesuviana (diffuso anche a Terzigno e altri paesi limitrofi) si esegue principalmente in occasione delle feste legate al culto della Madonna di Castello (detta anche Madonna “pacchiana”, cioè contadina) sia per il Sabato in Albis (conosciuto anche come “sabato dei fuochi”) che per il 3 Maggio (detto anche “tre della Croce”).

Ascolta i canti sul tamburo per la Madonna di Castello nelle registrazioni in studio di Roberto De Simone

e guarda le riprese audiovisive di Paola Cantelmo e Pasquale Corrado

Per certi versi è lo stile areale di canto sul tamburo più conosciuto e diffuso anche grazie alle riproposizioni della Nuova Compagnia di Canto Popolare che si sono spesso “ispirati” alla tammurriata di Somma ed in particolare alle esecuzioni di cantori e suonatori sommesi come Giovanni Coffarelli, Rosa Nocerino e zi Gennaro Albano.  

Dal punto di vista musicale lo stile dell’area vesuviana presenta tutti gli elementi tipici del canto sul tamburo in Campania, molti dei quali comuni anche alle altre aree, vale a dire: ritmo binario con un ciclo di 4 battute o pulsazioni, profilo melodico discendente con un attacco sul quinto grado, ambitus melodico pentacordale con quarto grado aumentato, chiusura sulla tonica prolungata sulla cosiddetta vutata o rotella, struttura strofica con alternanza di endecasillabi e ottonari, uso di interpolazioni testuali (le cosiddette barzellette o stroppole) costituite da ottonari autonomi (spesso con chiare allusioni sessuali), uso di particolari stilemi fonici come la trasformazione in “a” di tutte le vocali nelle cadenze (ad esempio “t’ha miso” diventa “t’ha misaaa”).

Più spostato verso l’area urbana di Napoli, è Pomigliano d’Arco, luogo emblematico per la riscoperta della musica tradizionale nel quale ritroviamo tutti repertori tipici dell’area napoletana, dal canto sul tamburo alle fronne, dai canti “alla carrettiera” alle voci di venditori, combinate il più delle volte con forme di contaminazione con altri repertori o caratterizzati per l’adattamento a tematiche di carattere sociale e politico, secondo istanze radicate in un territorio a metà strada tra campagna e industria, memoria delle radici e urgenza di un impegno forte sul presente. Esemplare al riguardo l’attività di gruppi musicali come gli ‘e Zezi e Le nacchere rosse che, formati spesso da operai degli stabilimenti dell’Alfa Romeo, seppero innestare sul tronco delle tradizioni musicali tematiche legate al mondo della fabbrica, procedendo a volte anche a ibridazioni di forme espressive di origine diversa.

In tutto il territorio grande spazio alla canzone di Zeza e a tutto il repertorio carnevalesco, oggetto di una magistrale indagine sul campo di un’équipe di ricerca coordinata da Roberto De Simone e Annabella Rossi

 

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